Lyrics
[0]
Gaie donne e meste vergini,
per distrarvi dal peccato,
poiché è l’ora delle favole,
poiché il cielo è annuvolato,
canterò con dolci suoni
la ballata dei tre tuoni.
Dirò l’anno, dirò il secolo,
dirò i tempi, i luoghi e l’ore,
quando un mesto trovatore
viaggiava intorno al mar.
Una notte fra le tenebre
ode il suon d’una ballata,
e il vascello d’una fata
vede fulgido approdar.
“Trovator gentile e pallido,”
dice l’umida sirena,
“son la ninfa dell’Oceano
più leggiadra sotto il ciel;
odi, o vago giovincel:
se con voce alta e serena
canti questa cantilena
entrerai nel mio vascel.”
Poi canta così,
fra i fiotti del mar:
“Mi, re; do, re, mi.
Ballata
di fata
è lunga a cantar,
è affanno ed inganno,
ci vuol più d’un anno,
ci vuol più d’un dì.
Mi, re; do, re, mi.”
[1]
L’anno millecentoundici,
quello stesso giovincello,
ma più smorto, ma più bello,
viaggiava intorno al mar.
Una notte in mezzo ai vortici,
fra le spume, sulla linfa
il vascello della ninfa
vede ancora navigar.
“Trovator languente e tenero,”
fa la magica visione,
“la malia della mia musica
t’ha sconvolto e viso e cuor.”
E il commosso trovator,
come un bimbo in orazione,
incomincia la canzone,
tutto pallido d’amor.
Già l’arpa toccò
l’accordo di do.
E' canta così:
“Mi, re; do, re, mi.
Ballata
di fata
è lunga a cantar,
è affanno ed inganno,
ci vuol più d’un anno,
ci vuol più d’un dì.
Mi, re; do, re, mi.”
Ma all’ultimo suon
fra un lampo ed un tuon
la fata scompar.
E s’ode ulular
dagli orchi del mar:
“Stonasti il tuon.”
[2]
L’anno millecentododici,
lungo il mar pensoso e stanco,
ma più bello, ma più bianco,
viaggia ancora il menestrel.
Una notte, in mezzo all’alghe,
sotto il vento della plaga,
vede ancora la sua maga
nel vascello ardente e snel.
“Trovatore melanconico,”
parla a lui la diva amanza,
“il labor d’un lungo studio
ti fe’ mesto e chino al suol.”
E il romantico figliuol,
tutto acceso di speranza,
le ripete la romanza
con accenti arsi dal duol.
Già l’arpa gli diè
l’accordo di re.
E' canta così:
“Mi, re; do, re, mi.
Ballata
di fata
è lunga a cantar,
è affanno ed inganno,
ci vuol più d’un anno,
ci vuol più d’un dì.
Mi, re; do, re, mi.”
Ma all’ultimo suon
fra un lampo ed un tuon
la fata scompar.
E s’ode ulular
dagli orchi del mar:
“Stonasti il tuon.”
[3]
L’anno millecentotredici
di Gesù Nostro Signore,
un gentil romanzatore
viaggia intorno all’Oceàn.
L’agonia lo fa più squallido
nella faccia esausta e bruna,
quando appar lungo la duna
un vascello da lontan.
È il vascello della silfide,
è il vascel della sirena,
è il vascel della nereide
più leggiadra sotto il ciel.
E se il vago giovincel
canterà la cantilena
colla voce alta e serena,
salperà su quel vascel.
Già l’arpa stormì
l’accordo di mi.
E' canta così:
“Mi, re; do, re, mi.
Ballata
di fata
è lunga a cantar,
è affanno ed inganno,
ci vuol più d’un anno,
ci vuol più d’un dì.
Mi, re; do, re, mi.”
E all’ultimo suon
di quella canzon,
s’è visto vagar,
s’è visto danzar
sui flutti del mar
la fata e il garzon.
[3]
L’anno millecentotredici
di Gesù, Nostro Signore,
un gentil romanzatore
viaggia intorno all’Oceàn.
L’agonia lo fa più squallido
nella faccia esausta e bruna,
quando appar lungo la duna
un vascello da lontan.
È il vascello della silfide,
è il vascel della sirena,
è il vascel della nereide
più leggiadra sotto il ciel.
E se il vago giovincel
canterà la cantilena
colla voce alta e serena,
salperà su quel vascel.
Già l’arpa stormì
l’accordo di mi.
E' canta così:
“Mi, re; do, re, mi.
Ballata
di fata
è lunga a cantar,
è affanno ed inganno,
ci vuol più d’un anno,
ci vuol più d’un dì.
Mi, re; do, re, mi.”
E all’ultimo suon
di quella canzon,
s’è visto vagar,
s’è visto danzar
sui flutti del mar
la fata e il garzon.